‘I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’universo degli imbecilli’. Così si espresse il grande semiologo, filosofo e scrittore Umberto Eco nel ricevere, il 10 giugno 2015, la laurea honoris causa in “Comunicazione e Culture dei Media” presso l’Università degli Studi di Torino.
Secondo Eco, “il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità” e, leggendo le tante, troppe bufale e idiozie che campeggiano sui social network, non gli si può dare completamente torto. Forse parlare di “legioni di imbecilli” può suonare un po’ troppo forte, ma sicuramente non risulta eccessivo parlare di milioni di analfabeti di ritorno e funzionali ai quali Facebook e dintorni hanno dato voce.
Per “analfabeti di ritorno” si intende quella quota di persone alfabetizzate che, senza l’esercitazione delle competenze alfanumeriche, regredisce perdendo la capacità di utilizzare il linguaggio scritto o parlato per formulare e comprendere messaggi e, in senso più ampio, per comunicare con il mondo circostante.
Gli “analfabeti funzionali” sono, invece, coloro che non sanno usare in modo efficace le competenze di base (lettura, scrittura e calcolo) per muoversi autonomamente nelle situazioni della vita quotidiana.
Ora la piazza dei social network ci mette, con buona pace di tutti, dinanzi ad una spiazzante verità: gli italiani sono un popolo di analfabeti, o quasi. Un popolo per il quale non c’è alcuna differenza tra “ha” ed “a”, tra “è” ed “e”, tra “l’ho” e “lo”, tra “c’è” e “ce”, solo per citare gli orrori più diffusi sul web.
Tullio De Mauro, linguista, professore emerito dell’Università di Roma “La Sapienza”, già ministro della Pubblica Istruzione, ha spiegato che l’analfabetismo di ritorno colpisce in modo più grave le popolazioni in cui non c’è una cultura diffusa del leggere e del tenersi informati.
Secondo la “Regola del meno cinque”, da adulti, se le conoscenze acquisite a scuola non vengono mantenute attive, si regredisce di cinque anni rispetto ai livelli massimi raggiunti in gioventù. Se il cervello non si allena, dunque, noi regrediamo e vediamo deteriorare quel minimo di competenze acquisite a scuola.
Gli italiani, un tempo popolo di santi, poeti e navigatori, oggi sono per lo più un popolo di ignoranti, se è vero come è vero che, stando ai dati Ocse, solo il 30% degli adulti ha un rapporto sufficiente con la lettura, la scrittura e il calcolo. “Gli altri – precisa De Mauro – si muovono solo in un orizzonte ristretto, subendo quel che succede senza saper capire e reagire”. In Italia, inoltre, il 47% della popolazione, quasi un italiano su due, si informa, vota e lavora seguendo soltanto una capacità di analisi elementare.
A far le spese del nostro analfabetismo è, in primis, la meravigliosa e complessa lingua italiana, “la dolce lingua”, sempre più spesso ridotta ad un ammasso di lettere alla rinfusa, senza senso logico e grammaticale. Se proprio non vogliamo farlo per noi, dunque, facciamolo almeno per lei: (ri)cominciamo ad aprire un libro e salviamo la lingua italiana!