Le lavoratrici molto probabilmente non sapevano che a fine gennaio avrebbero lasciato per sempre quei macchinari che molte di loro conoscevano da 25 anni [LEGGI].
“Il pantalonificio non sarà più il pantalonificio. A Gissi non si produrranno più pantaloni. Chi di voi resterà, se qualcuno resterà, non farà pantaloni, comunque vadano le cose. La domanda adesso è Quante ne salviamo a Gissi?“.
Le parole di Claudio Musacchio (Uiltec-Uil) sono un’angosciante sentenza per le 100 lavoratrici del reparto pantaloni del gruppo Canali presente in Val Sinello; all’orizzonte ci sono solo incertezza e la possibilità di essere tutelate dagli ammortizzatori sociali fino alle ferie estive.
Le brutte notizie, che erano già nell’aria dopo l’incontro di venerdì in Regione, sono state confermate ieri pomeriggio dai sindacati nell’aula consiliare di Gissi. L’assemblea straordinaria delle lavoratrici non si è potuta tenere in fabbrica: i cancelli sono già chiusi in virtù della cassa integrazione a zero ore.
IL LUMICINO – Se si vuol trovare una nota positiva, c’è il fatto che non è ancora stata avviata la procedura di cessazione dell’attività produttiva, ma sembra ben poca cosa messa a confronto con la serie di notizie negative in arrivo.
È stato Giuseppe Rucci (Filctem-Cgil) a ricostruire la successione di porte chiuse: “Canali ha due pantalonifici, uno qui e uno nelle Marche. Avremmo chiesto di destinare a Gissi parte della produzione dell’altro stabilimento, ma il calo del venduto è stato così forte che anche lì i lavoratori si fermeranno per alcuni giorni, coperti da cassa integrazione”.
Il Pantalonificio viene fuori da tre anni di contratti di solidarietà. Con la riforma degli ammortizzatori sociali, durante la loro applicazione, il 40% dei dipendenti dev’essere a lavoro, ma l’azienda non può assorbire questi numeri. Rifiutata anche la proposta di part time a 20 ore settimanali.
Massimiliano Recinella (Cisl) ha anche spiegato: “La società ha anche detto che non sa cosa farsene degli eventuali aiuti messi a disposizione dalla Regione Abruzzo. Il dott. Bontavalli ha ribadito che le difficoltà del Pantalonificio di Gissi non sono più contingenti, ma strutturali”.
“CHE FARE?” – “Siamo al rush finale, che fare?”. I margini di manovra sono ristretti. Prima di avviare la procedura di cessazione dell’attività, la Canali ha accettato di sondare possibili soluzioni interne ed esterne.
Interne, riportare a Gissi lavorazioni che ora si fanno fuori, ma i numeri non sarebbero sufficienti ad assicurare la sopravvivenza del pantalonificio. C’è bisogno di un altro progetto che magari diversifichi la produzione salvaguardando i livelli occupazionali.
Soluzioni esterne, ovvero imprenditori che vogliano usufruire del capannone e delle professionalità al suo interno. “Ma chi si accolla 93 lavoratrici?” chiede una delle operaie presenti. Pare che un anno fa il pantalonificio sia stato vicino alla vendita, ma Canali stoppò tutto perché non c’era la necessaria serietà da parte dell’acquirente.
“Non facciamoci grosse illusioni, anche se la speranza è l’ultima a morire” ha tagliato corto Musacchio. A metà aprile nuovo incontro in Regione.
IL FUTURO – “Canali non sta lasciando a piedi le lavoratrici per andare all’estero, produce tutto in Italia, anche le bustine dei bottoni”, ha sottolineato Rucci per tracciare una differenza con quanto accaduto alla Golden Lady (anche se alla fine della giostra i risultati saranno gli stessi).
Difficile capire cosa fare nell’immediato. Anche i propositi di occupazione e resistenza sembrano non avere le giuste motivazioni di fronte alla crisi che investe tutto il settore pantaloni del gruppo.
“Nella peggiore delle ipotesi – ha detto il sindacalista della Uil – gli ammortizzatori potrebbero durare fino a prima delle ferie estive poi si aprirebbe la procedura di mobilità. È anche difficile prolungare l’agonia con gli ammortizzatori perché lo Stato vuole evitare di sovvenzionare aziende già defunte; se lo fa è perché dietro c’è un progetto”.
Nel reparto giacche (altre 190 operaie) si lavora 3 giorni a settimana. “La società ha chiesto nuovamente – ha detto Rucci – di non mettere insieme le due vicende. Per le giacche ora non c’è pericolo”.
SINDACI PREOCCUPATI – Presenti all’incontro anche alcuni sindaci del territorio. Oltre ad Agostino Chieffo, c’erano Angelo Marchione (Furci), Donato Di Giacomo (Liscia), Nicola Filippone (San Buono) e Saverio Di Giacomo (Monteodorisio).
Il padrone di casa ha ribadito la propria preoccupazione: “La situazione è drammatica, il 29 aprile scade la prima cassa integrazione, bisogna far presto. Come amministrazione comunale ho chiesto più volte venerdì scorso cosa avremmo potuto mettere a disposizione della società, ma non c’è stata risposta. Sull’eventualità di acquirenti esterni? Ci sono solo avventurieri”.
Manca solo un’effimera ufficialità, quindi. Il Pantalonificio che da 25 anni produceva pantaloni a Gissi (530 al giorno) non c’è più. A circa 100 lavoratrici, a quanto pare, non resta che attendere il corso degli eventi. Con la crisi strutturale del gruppo si salveranno in pochi.