“Avevamo avviato un percorso di integrazione, ma dal 2001, dall’attacco alle Torri Gemelle e poi a seguire con gli altri attentati terroristici, siamo costretti a rincorrere coloro che vorrebbero addossare alla nostra religione colpe che la religione non ha. Dio ci ha creato affinché ci conoscessimo, non per metterci l’uno contro l’altro. Le religioni devono unire i popoli, non dividerli. Chi usa violenza contro l’uomo agisce contro Dio e compie blasfemia“.
Probabilmente non sapeva più che parole usare l’imam di Teramo, Moustafa Bazdami, presente nella giornata di ieri a Vasto per il doppio appuntamento al Liceo scientifico e a Palazzo d’Avalos, nell’ambito dell’iniziativa promossa dal Tavolo per il dialogo interreligioso e la pace tra le culture e sostenuta dal Comune di Vasto (qui la presentazione dell’evento), per spiegare agli alunni prima e al festoso e “colorato” uditorio di Palazzo d’Avalos poi, che l’equazione Islam=terrorismo non corrisponde a realtà. Per farlo, l’imam di Teramo ha fatto ricorso a diversi passaggi del Corano, anche per rispondere alle domande sul rapporto donna/islam. “C’è una sola donna che nel Corano viene nominata con nome proprio e come cristiani dovreste conoscerla bene: è Maria, madre di Gesù. È quello il modello di donna raccomandato dal Corano. Abbigliamenti come il burqa non sono indicati da nessuna parte nei testi sacri, tant’è che non è nemmeno una parola araba, ma deriva dall’afgano. Significa che sono interpretazioni legate alla cultura locale, ma certamente non imputabili alla religione”. E allo stesso modo l’imam Moustafa Bazdami ha cercato di scardinare luoghi comuni e pregiudizi duri a morire.
La difficoltà nel superare le diffidenze, spiegata dalle parole del giornalista Moustafa El Ayouby: “Non dobbiamo nasconderci, altrimenti non faremmo un buon servizio alla causa dell’integrazione tra popoli e culture e nemmeno all’Islam: se vogliamo stare a spulciare i testi sacri alla ricerca di riferimenti alla violenza, li troveremo nel Corano, così come nella Bibbia. Ma il Cristianesimo ha fatto i conti con quei passaggi, attraverso una contestualizzazione che nell’Islam purtroppo si è fermata. E in queste falle dell’ermeneutica che si inseriscono gli estremisti“. Estremisti che però sfruttano le “falle” lasciate dalle interpretazione dei sacri testi per rivendicare un agire “religioso”, che però di religioso non ha niente: “I terroristi acquistano armi con il contrabbando di petrolio, con la droga, e già solo per questo sono fuori dalla religione islamica, senza arrivare nemmeno agli atti di violenza”.
La questione, però, non riguarda solo l’Islam; nelle parole del caporedattore di Confronti, infatti, anche una riflessione di carattere “geopolitico”. Per Moustafa El Ayouby, infatti, il terrorismo islamico è un “effetto collaterale” della politica occidentale, che si è prima “servita” dei movimenti più radicali, nutrendoli e ingrandendoli, e poi non è riuscita più a controllarli. L’esempio “scolastico” quello della guerra russo-afgana, nella quale il blocco occidentale per contrastare l’avanzata dell’Unione Sovietica in Afganistan ha supportato e fatto crescere i gruppi radicali per la consuetudine bellica per la quale “il nemico del mio nemico è mio amico”. Ma proprio da quei gruppi – nello specifico dal Mak – un certo Osama Bin Laden otterrà la “base” per la costituzione di Al-Q??ida. Stessa storia, in Libano e Siria: “Gheddafi non era certo un santo, ma era al potere da 40 anni, non lo hanno certo attaccato perché era un dittatore, visto che lo è sempre stato. Hanno deciso di eliminarlo quando è cambiata la sua politica verso le multinazionali del petrolio e la politica monetaria, e per farlo non si sono fatti scrupoli ad appoggiare formazioni come il Gruppo Islamico Combattente Libico, notoriamente nella lista nera del terrorismo internazionale”. E il “giocattolo” del terrorismo islamico (che finché era relegato nelle terre arabe o africane non ha mai suscitato grosse preoccupazioni) si è rotto tra le mani dell’Occidente, che – senza il contrasto degli stati sovrani abbattuti dagli stessi terroristi – non sono più riusciti a contenere il fenomeno, che ha raggiunto gli stessi paesi occidentali. Comunque il messaggio è stato chiaro: al di là delle “colpe”, da cui nessuna “parte” è esente, si può parlare di “politica”, si può parlare di guerra, di interessi economici, ma non di religione.
Ma al di là dell’analisi geopolitica che naturalmente un giornalista come Moustafa El Ayouby si porta dietro come “deformazione professionale”, dal Tavolo interreligioso, che ha concluso la serata con una fiaccolata partecipata forse oltre le più rosee aspettative, il messaggio è stato un altro: “Non dobbiamo cercare quello che ci divide, ma quello che ci unisce. Siamo insieme intorno al Tavolo interreligioso non per dire che la mia religione è meglio della tua e cercare di convincerci a vicenda. Siamo insieme per conoscerci e accettarci nelle rispettive libertà”. Più sono a pensarla così, meno “benzina” hanno gli estremismi.