Antonio Lo Vecchio nasce il 10 ottobre del 1942 a Bernalda, in provincia di Matera. Sin da piccolo la sua passione è il calcio. Siamo sul finire degli anni ’40, in un’epoca in cui non tutti hanno le possibilità di giocare con un vero pallone di cuoio. Il piccolo Antonio si ingegna insieme agli amici e con le calzette realizza una sfera da prendere a calci. Inizia così una carriera caratterizzata dai gol.
Nel 1958, a 16 anni, a Bari partecipa al Torneo delle Regioni Zanetti, lo notano i dirigenti del Pescara che lo invitano per un provino. Il ragazzo ci sa fare, supera la prova e viene tesserato per i biancazzurri. La stagione successiva, 1960/61, arriva a Vasto, dove disputa il campionato di Quarta Serie con mister De Angelis, segna 8 reti ma i biancorossi retrocedono.
Poi rientra al Pescara che lo cede a Castelvetrano, in provincia di Trapani, in Quarta Serie. In Sicilia resta una settimana, l’ambiente non è dei migliori, spesso ci sono sparatorie. Tonino trova una scusa e torna a Pescara. Per il calcio vastese e la sua storia sarà la svolta, è anche merito di Castelvetrano, lì dove nel 1950 fu ucciso il bandito Salvatore Giuliano, se gli appassionati biancorossi hanno potuto apprezzare per anni le gesta di uno dei più forti giocatori di sempre. Un combattente, bomber di razza, lesto in area, con un grande fiuto del gol, caratteristiche che gli valgono il soprannome di falco, “un Inzaghi per intenderci” spiega lui stesso. Pioniere di un calcio in cui si prendevano tante botte, stimato anche dagli avversari. 382 presenze e 128 gol con la Pro Vasto, primo nelle classifiche di presenze e gol di tutti i tempi. Lo Vecchio, Fazi e Pantani sono tra i più forti centravanti della Serie C dell’epoca.
Il ritorno a Vasto non fu positivo per via di una squalifica.
La Pro Vasto giocava in Promozione e fui protagonista di un episodio che mi costò la carriera. Squalificato a Lanciano, in una gara importante, perchè durante una discussione tra arbitro e un giocatore il direttore di gara fu colpito da un calcio e disse che ero stato io, ma non era vero. Ancora oggi quell’arbitro sostiene che nella mischia sia stato io a colpirlo. Fui squalificato per due anni, ma per fortuna ci furono le Olimpiadi in Giappone e in seguito ai risultati dell’Italia la pena venne ridotta ad uno.
A quel punto venne fuori la lungimiranza dell’avvocato De Mutiis.
Con una squalifica del genere da scontare costavo poco, mi pagò 500 lire, ha creduto in me nonostante tutto, è stato intelligente e lungimirante. Tornai in campo e disputai due campionati di Promozione, uno perso con l’Avezzano 1-0 a Pescara, l’altro vinto, segnai 31 gol. In Quarta Serie il primo anno arrivammo terzi e poi primi, in quella stagione realizzai 23 reti. Vincemmo il campionato 69/70 e rimasi fino alla stagione 74/75 con mister Uzzecchini.
Una grande storia d’amore, quella con Vasto, che non fu interrotta nemmeno dalle richieste arrivate dalle categorie superiori.
Nel 72/73 Giammarinaro che mi conosceva bene e mi aveva già allenato mi voleva in B nell’Avellino del presidente Sibilia dove c’erano De Foglio e Lamia Caputo, ma rifiutai, avevo 30 anni e volevo cercarmi un lavoro sicuro. Anche in precedenza c’erano state delle offerte, ma la società non mi lasciò andare.
Mister Giammarinaro è sempre stato un suo grande estimatore.
Mi ha voluto anche a Chieti dove ho chiuso la carriera vincendo il campionato, diciamo che mi voleva ovunque andava. Una volta disse che Lo Vecchio è stato il più forte centravanti che lui abbia mai allenato. Ovviamente mi ha fatto molto piacere. Io e lui avevamo un carattere simile, era chiuso, ma da uno sguardo capivi tutto ciò che voleva. Riponeva una fiducia enorme in me. Anche io ero chiuso, timido, questo a volte mi ha nuociuto perché non riuscivo a stare con chi era diverso da me. Capita anche oggi.
Terminata la carriera è rimasto a Vasto.
Ho trovato lavoro alla Asl in ospedale e con mia moglie, conosciuta ai tempi di Pescara, siamo rimasti qui dove è nato mio figlio Luca che mi ha dato un nipote.
Che giocatore è stato Tonino Lo Vecchio?
Un centravanti opportunista, vedevo la porta, facevo gol, non potevo sbagliare, concretizzavo sempre al meglio le occasioni che mi capitavano, avevo le caratteristiche di Inzaghi. I vastesi che mi hanno visto giocare dicono ancora oggi che sarei potuto arrivare in Nazionale. Se fossi esploso prima avrei potuto fare qualche categoria in più.
Che calcio era quello della sua epoca?
Un calcio fatto di amore e di attaccamento ad una maglia, alla città e ai suoi colori. Scendevamo in campo perché volevamo sempre dimostrare di valere qualcosa, spinti da grandissime motivazioni. Non avevamo pretese, giocavamo con maglie scomodissime lavate dal custode nell’acqua bollente, la domenica andavano tirate per essere allargate perché si restringevano, per non parlare delle scarpe. Vasto a quell’epoca non poteva permettersi di più.
Qual è il gol che non dimenticherà mai?
Ne ho fatti tanti, contro Empoli, Messina, Spezia, Catania e altre squadre che oggi sono tutte in A e B. Forse quello contro il Lecce non lo scorderò mai: era sotto Natale, il campo era così fangoso che le caviglie erano completamente immerse nella melma. Fallo laterale, De Foglio mi lancia, io in velocità avanzo e tiro in porta segnando. Oppure quello di testa alla Salernitana davanti a più di 14.000 spettatori.
La partita più bella?
Non potrei dirne solo una, non basterebbe. Per me da lucano le sfide contro il Potenza e il Matera avevano un sapore particolare. Contro il Potenza segnai in mezza rovesciata sotto la curva San Michele e il portiere avversario mi fece i complimenti.
Quali sono i compagni che ricorda di più?
Due grandi amici come De Foglio e Ascatigno, ma anche Di Paolo, il trio delle meraviglie Marcolini-Bozza-Cappotti. Oggi mi vedo ancora con Arnaldo Di Mascio, è rimasta una bella amicizia.
Il complimento più bello che ha ricevuto tra i tanti?
Franco Ordine, oggi a Il Giornale e Mediaset, dopo un Pro Vasto-Teramo scrisse: “come fa uno del genere a non giocare in Serie A”.
Come mai non ha proseguito la carriera di allenatore?
Ho allenato le giovanili, la Beretti nazionale, ho fatto il vice di Giammarinaro e tre anni di Fc Vasto, poi Larino dove ho lasciato un buon ricordo. Mi sono fermato per il lavoro, non avevo più tempo.
Cosa si prova a sapere di essere il primo di tutti i tempi per gol e presenze?
Ne sono davvero molto orgoglioso, ancora oggi la gente mi ferma , mi saluta, mi abbraccia, mi ringraziano e mi porta indietro di tanti anni con i ricordi. Tutto questo mi fa enormemente piacere, sapere di aver fatto contente tante persone e portato Vasto alla ribalta nazionale è un onore.
Oggi segue ancora il calcio?
A livello nazionale, in televisione, ma a livello locale no, non entro all’Aragona da tanti anni. Oggi il calcio non è fatto più con amore e passione. Nelle giovanili e tra i dilettanti sono permesse cose che ai nostri tempi ci sognavamo. Resta un rammarico, ai miei tempi c’erano i piloti che sapevano guidare ma non la macchina, cioè la struttura organizzativa che oggi è di certo migliorata, ma non ci sono più i piloti. Quelli della mia generazione non hanno mai avuto il piacere di giocare sull’erba, era un sogno.
Che idea si è fatto della situazione del calcio a Vasto?
Lo stadio di oggi è stupendo, ma non c’è una squadra degna, vorrei chiedere agli imprenditori e ai politici come mai hanno perso la voglia di fare calcio ad alti livelli, altrimenti non si spiega il motivo di questa caduta così in basso.
Foto – Tonino Lo Vecchio
Tonino Lo Vecchio, primo nelle classifiche di tutti i tempi della Pro Vasto/Vastese per presenze e gol. Immagini e ritagli di giornali.