In qualche caso è costato anche la vita ad adolescenti che non hanno retto il peso delle offese ricevute. Ma ci sono tante storie di quotidianità che raccontano come il fenomeno del cyberbullismo non sia soltanto qualcosa di raccontato sui mass media quanto una dura realtà che tocca tanti giovani. Alla nostra redazione è arrivata la mail di uno studente, che ha rappresentato una situazione tutt’altro che piacevole. Al centro dell’attenzione c’è Ask.fm, uno degli ultimi social network che si sono imposti nel mondo giovanile, certamente uno dei più chiacchierati, soprattutto dopo il suicidio di una 14enne britannica, tanto che anche il premier Cameron è sceso in campo per chiederne la chiusura.
Senza voler dire “è tutto sbagliato” o “è tutto giusto”, serve certamente un’attenta riflessione sull’uso delle nuove tecnologie, in particolare da parte dei giovani. “Su Ask è stata aperta una pagina anonima in cui sono stati scritti insulti pesanti nei confronti di circa 200 ragazzi e ragazze vastesi – è il racconto dello studente -. La pagina è rimasta online meno di 24 ore, ma tanto è bastato perchè chi l’ha creata vi sparlasse di ragazzi utilizzando un linguaggio scurrile, sarcastico, probabilmente passibile di denuncia per diffamazione. Ci sono stati molti degli adolescenti tirati in ballo che per settimane non si sono fatti vedere in giro, tanta era la vergogna provata per quanto l’anonimo (o l’anonima) aveva scritto. Qualcuno ha evitato anche di venire a scuola”.
Ask.fm è il sito che maggiormente garantisce l’anonimato, ma anche sui vari Facebook o twitter ci vuole poco per avere un profilo “taroccato” per poter scrivere, parlare e sparlare a piacimento. Quello che manca sono i sistemi di protezione. “Più volte l’anonimo si è trincerato dietro una presunta intoccabilità garantita dall’anonimato, sfidando addirittura i ragazzi colpiti a tentare di smascherarlo”. Ancora oggi, dando un’occhiata allo stesso sito, si trovano pagine in cui, con nomi e cognomi, si riportano presunti fatti riguardanti ragazzi della città, spesso molto giovani, che si ritrovano quindi coinvolti in discussioni dai toni spesso volgari. E la cassa di risonanza data dalla rete internet è certamente esponenziale rispetto al vecchio “pettegolezzo di quartiere”. Con una normativa ancora inefficiente diventa difficile anche il lavoro delle forze dell’ordine, che si trovano di fronte a società di gestione con sedi in altri Paesi con le inevitabili complicazioni.
Cosa fare? La situazione è davvero complessa ma molto attuale. E’ proprio di due giorni fa la notizia che un tavolo presieduto dal viceministro dello Sviluppo economico Antonio Catricalà insieme a rappresentanti delle istituzioni (Agcom, Polizia postale e delle comunicazioni, Garanti per la privacy e l’infanzia), delle associazioni (Confindustria digitale e Assoprovider fra gli altri) e degli operatori, fra cui Google e Microsoft, ha approvato una prima bozza del Codice di autoregolamentazione per la prevenzione ed il contrasto del cyberbullismo (clicca qui). Ci sono 45 giorni per presentare le osservazioni attraverso il sito del Ministero (clicca qui). Ma la strada è ancora lunga, per mettere un freno all’utilizzo “violento” del web fra i minori. Anche perchè, prima delle leggi, servirebbe una reale attenzione verso quei ragazzi che più facilmente vengono bersagliati. Raccomandazioni a non diffondere dati sensibili, foto e quant’altro possa essere utilizzato per strani scopi sembrano non essere mai abbastanza, trovando resistenza nella voglia di interazione, sempre più attraverso gli strumenti elettronici, dei giovani.
Nulla di sbagliato in questo desiderio. A patto, però, che gli stessi utenti sappiano quali rischi corrono. In troppi casi, non solo all’estero ma anche in Italia, l’umiliazione per ingiurie, commenti, prese in giro, è stata talmente forte da spingere ragazzi e ragazze a togliersi la vita. Questo perchè c’era chi si divertiva alle loro spalle. Fortunatamente da queste parti non si è arrivati a tanto. Ma, dalla voce dei ragazzi, emerge una situazione che va monitorata, capita ed affrontata, possibilmente con il coinvolgimento di famiglie ed agenzie educative, come scuola ed associazioni. Un codice chiaro potrà essere d’aiuto, certo. Prima, però, occorre mettere in campo buonsenso e rispetto.