“Se il Pd non abbandonerà la cieca via della contrapposizione personale, dell’avvitamento su se stesso, preferendo contarsi su artificiosi rapporti di forza interni piuttosto che recuperare la fiducia di cittadini giustamente delusi, avrà fallito la sua missione storica e tradito gli ideali per cui è nato”.
Nicola Della Gatta mette da parte la diplomazia. Dice quello che gli passa per la testa. In vista delle primarie con cui gli elettori sceglieranno il leader nazionale del Pd, il vice segretario cittadino del partito si schiera con Matteo Renzi e lancia un appello che vale anche e soprattutto per il Pd di Vasto: cambiare rotta, altrimenti si va verso il naufragio.
Della Gatta, nelle primarie dell’8 dicembre il Pd sceglie il suo segretario nazionale. Lei chi sostiene: Renzi, Cuperlo, Civati o Pittella?
Sostengo la mozione Renzi.
Perché si schiera con Renzi?
Un motivo su tutti. Renzi ha assunto l’impegno che, da segretario, lavorerà per rottamare le correnti. Questa è una priorità non più rinviabile. Per troppe volte in questi anni, le grandi potenzialità del nostro partito e della gente appassionata che quotidianamente le porta avanti, sono state oscurate dall’immagine di un Pd diviso e litigioso, tanto ai suoi vertici quanto nella base. Renzi intercetta questo profondo senso di delusione ed è giusto dargli la possibilità di mettersi in gioco, di disegnare il Pd che verrà, ma soprattutto di liberarlo dalla preoccupazione, che purtroppo regna in larghi settori della sua classe dirigente, di preservare un presente insoddisfacente invece di costruire un futuro migliore.
Eppure, appena un anno fa, alle primarie con cui gli elettori del centrosinistra scelsero il candidato premier, lei di espresse, come quasi tutta la dirigenza del Pd di Vasto, a favore di Bersani, che poi sconfisse al ballottaggio proprio Renzi. Come mai ha cambiato idea? Anche lei è saltato sul carro del probabile vincitore?
Si tratta di due primarie completamente diverse. Quelle dello scorso anno servirono a designare il candidato premier del centrosinistra alle elezioni politiche di febbraio. Ero e resto convinto che il pilastro fondamentale della proposta di Renzi -la rottamazione, intesa anzitutto come rinnovamento interno al Pd- non potesse costituire il principale obiettivo di chi si candidava al governo dell’Italia. Questa, invece, è una fase completamente nuova, in cui siamo chiamati a tracciare un bilancio dei primi sei anni di vita del partito, a dargli una prospettiva nuova che non può non tener conto della sconfitta elettorale: e Renzi, a mio parere, costituisce un’opportunità di cambiamento che il Pd deve quantomeno sperimentare.
Il regolamento del congresso di quest’anno è molto farraginoso. Domenica scorsa c’è stata la cosiddetta Convenzione, cioè hanno votato gli iscritti del partito per scegliere tre candidati sui quattro che si erano presentati: Renzi, Cuperlo e Civati, mentre Pittella è stato eliminato dalla competizione. L’8 dicembre, invece, le primarie vere e proprie in cui saranno i cittadini a scegliere fra i tre candidati rimasti in lizza chi dovrà essere il leader nazionale del Pd. Domenica scorsa, alla Convenzione di Vasto, hanno votato solo 84 tesserati su 252 complessivi. Troppo pochi. E Renzi, tra gli iscritti di Vasto, è arrivato addirittura terzo dietro Cuperlo e Civati…
Questo passaggio previsto dal regolamento congressuale, ha avuto il solo scopo di eliminare dalla corsa alla segreteria uno dei quattro candidati iniziali. Un passaggio che, dal mio punto di vista, ha fatto solo male ad un Pd che di tutto ha bisogno fuorché di dimostrarsi ancora una volta appassionato a dividersi -e contarsi su queste divisioni- al suo interno. Viene spontaneo domandarsi: ma che senso ha chiedere agli iscritti di esprimersi, per due volte nel giro di un mese, su un candidato segretario? Che necessità c’è di restringere la corsa a tre candidati, quando le primarie fondative del partito furono celebrate con ben sette competitor? Personalmente non disdegno un Pd capace di maggior semplicità e linearità.
Queste sue parole sono una dura critica all’organizzazione e alla democrazia interna del Pd. Non rischia di creare nuove divisioni?
Se il Pd non abbandonerà questa cieca via della contrapposizione personale, dell’avvitamento su se stesso, preferendo contarsi su artificiosi rapporti di forza interni piuttosto che recuperare la fiducia di cittadini giustamente delusi, avrà fallito la sua missione storica e tradito gli ideali per cui è nato.
Entrando nel gruppo dei sostenitori di Renzi, trova Domenico Molino, renziano della prima ora che scalpita per la candidatura alle prossime elezioni regionali. Lui ha fondato il Comitato Adesso – Vasto per Renzi, ma in città sta per nascerne un altro: Insieme per Renzi. Lei chi sosterrà?
A Domenico va riconosciuta la coerenza di un percorso che, ormai da anni, lo colloca nella componente che fa capo a Matteo Renzi. Non trovo nulla di male nel fatto che si proponga come candidato di questo territorio alle prossime elezioni regionali e che lo faccia subordinando la sua persona ad una prospettiva di unità del Pd locale. Ma questo attiene ad un momento successivo. Ora si apre una fase nuova perché Renzi si candida a guidare il Partito democratico e, quindi, passare da leader di un’area a leader di un partito che si fonda sull’unità nella diversità. È naturale dunque, che si raccolga attorno alla sua candidatura un consenso sempre maggiore e che, anche a Vasto, sia appoggiata da altri dirigenti ed iscritti. Sono contrario alla contrapposizione tra renzismo puro e renzismo della seconda ora: rientra, ahimè, nel nostro difetto di fabbricare steccati che, spero, Renzi saprà abbattere. Il mio impegno è quello di lavorare al fianco di tutti coloro che condividono con me l’adesione ad un progetto di rinnovamento del Pd: tutti, nessuno escluso.
A pochi giorni dal congresso cittadino del Pd, lei era dato per sicuro dimissionario. Del resto, all’interno del partito, non aveva mai nascosto i suoi malumori. Quali erano i motivi degli attriti col segretario cittadino dei democratici, Antonio Del Casale?
Il congresso cittadino ha segnato la fine di un mandato complesso, che per me ha costituito una formidabile occasione di maturazione politica e personale. Le difficoltà sono state tante e, nel corso dei mesi, mi hanno condotto a pensare che la scelta migliore fosse quella di farmi da parte e lasciare ad altri il compito di contribuire alla gestione del Pd di Vasto. Con Antonio non ci sono stati attriti, semmai parlerei di silenzi sbagliati, dal momento che non possono verificarsi tra due persone che condividono una responsabilità di questo tipo.
Poi, invece, ha ceduto alle pressanti richieste che le provenivano da tutte le anime del partito e si è ricandidato alla vice segreteria, continuando ad appoggiare Del Casale. Perché ha cambiato idea?
Ho fatto questa scelta perché, appunto, nei giorni che hanno preceduto il congresso ho avvertito materialmente il pericolo di assestare un duro colpo all’unità del partito. Nel corso del primo mandato ho rivolto gran parte del mio impegno ad accompagnare una riconciliazione tra le diverse anime che, con il congresso straordinario del 2012, apparivano ormai irrimediabilmente lontane. Proprio per evitare il rischio di un ritorno al passato, ho deciso di accogliere l’invito pressante che proveniva da più parti.