“Li metterò insieme in un recinto sicuro“. Quando arriva don Gianfranco Travaglini, di corsa come sempre, la prima cosa che fa è portarci nella cappella dove sul muro c’è scritta questa frase del profeta Michea, che racchiude il senso di questo luogo. Il recinto di Michea è la fattoria sociale sorta qualche tempo fa in località Colle delle Mandorle. Abbiamo deciso di venire qui per raccontare la storia di questa domenica, perchè in questo luogo si intrecciano davvero tante storie, belle, meno belle, ma tutte con una forte carica di umanità. Io e Costanzo siamo arrivati prima di lui ed è stata Leda Del Borrello ad accoglierci. Lei è l’educatrice che, come ci racconterà poi don Gianfranco, “permette le relazioni tra le persone che vengono qui. E lo sta facendo per l’amore che ha verso questo luogo e questo lavoro”. E’ lei che ci accompagna in giro per la fattoria, mentre tutto attorno ci sono le persone che lavorano. Ci racconta delle difficoltà che si vivono per portare avanti il progetto. “Ci sono alcuni prodotti che riusciamo a vendere, come il miele, o altri manufatti. Ma è sempre molto difficile. Ma non ci arrendiamo di certo“. Con mio dispiacere scopro che oggi in fattoria non c’è mio amico Aldo, che sta frequentando un corso, mi toccherà venirci di nuovo per vederlo mentre si destreggia tra l’orto e gli animali.
Qui, come lo descrivono i ragazzi che lo frequentano, sembra di essere in un Paradiso Terrestre. E’ una fattoria a tutti gli effetti, con orto, animali, addirittura le api. E qui lavorano “gli ultimi, quelli che altrimenti non avrebbero neanche un’opportunità”. Marco è il fattore, il punto di riferimento per i lavori all’interno della fattoria. Ha incontrato don Gianfranco in periodo difficile della sua vita e, con tanta fatica, è riuscito a reinventarsi in questo nuovo lavoro. “La soddisfazione più grande per lui è stata quella di poter guadagnare qualcosa con il suo lavoro per non stare più nel dormitorio della Caritas ma poter prendere una casa in affitto”. E come la sua ce ne sono tante di storie che andrebbero conosciute e raccontate. Ma per una volta racconto qualcosa in meno e vi dico: “Andate al Recinto di Michea a conoscere queste storie”.
Il recinto sicuro, quello dove dare protezione e offrire opportunità a coloro che la società ha messo da parte. E qui torna il passo evangelico impresso sui muri. “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, dalle loro lance ne faranno falci. Alcune delle persone che lavorano qui hanno avuto un passato pieno di errori. Ci sono giovani – ci dice don Gianfranco- che hanno terminato il percorso nelle comunità di recupero, oppure vengono due detenuti della casa circondariale. Ecco, il lavoro, l’impegno costante, diventa una vera crescita e un’opportunità di reinserimento”.
Ma serve qualcosa in più, qualcosa che faccia diventare il Recinto di Michea una realtà in grado di camminare sulle sue gambe. Questa è la reale difficoltà. Don Gianfranco e i suoi collaboratori hanno cercato possibili strade. Ma in una regione e una nazione che non riesce a dare delle linee di sviluppo diventa tutto difficile. “Manca una chiarezza a livello di progettualità. Non si riesce a capire quale direzione prendere. Così non riusciamo ad andare avanti. Metti che decidiamo di produrre il latte di pecora e facciamo investimenti in tal senso e poi le norme vanno in altre direzioni? E così può valere per ogni altro prodotto. Senza chiarezza non possiamo fare nulla”.
Saliamo al piano di sopra, dove altri ragazzi stanno lavorando. Non prima di esserci fermati davanti al telaio, di quelli antichi. Don Gianfranco è un maestro della tessitura e ce ne da prova. Attraverso la cooperativa sociale di Casoli qui arrivano delle buste da lavorare, per avere una piccola entrata utile a mandare avanti la baracca.
Nelle ultime settimane tante scolaresche hanno visitato la fattoria. E i bambini ne sono rimasti entusiasti. Così come c’è tanta gente che, una volta scoperto questo luogo, viene qui, magari per acquistare i prodotti. Chi non si vede e non si sente sono le istituzioni. Don Gianfranco si fa duro. “Però non farmi fare polemiche – mi dice sorridendo-. Io credo che questo luogo dia risposta ad una esigenza del territorio. Ci sono 15-16 ragazzi, che se non venissero qui non avrebbero come occupare le giornate, non avrebbero nessuna speranza. Non vogliamo nessuna medaglia per questo, ma perchè non riconoscere tutto ciò, con una borsa lavoro per gli operatori che vengono qui a svolgere un compito prezioso?” Fino ad oggi nessun segnale. “Per fortuna ci sta aiutando la Caritas, altrimenti non potremmo essere qui”. Dai sorrisi, dal forte legame tra le persone di questo luogo che si percepisce da ogni gesto, si capisce come il “miracolo” della fattoria si compia ogni giorno. Altrimenti non potrebbero stare insieme persone con disabilità, giovani, meno giovani, detenuti, ex detenuti, ex tossicodipendenti. Tutte persone che sono state accolte nel “recinto sicuro” e che ogni giorno fanno un passo in più nella loro vita.
Un luogo che raccoglie tante storie e ne crea di nuove. Perchè qui si avverte davvero la possibilità di un cambiamento, nonostante le tante difficoltà del particolare momento storico. E grazie all’impegno di don Gianfranco, di Leda, di Marco, di tutti i volontari che si prodigano per dare una mano. Perchè non andate al Recinto di Michea a conoscere anche voi qualche storia?
Testo di Giuseppe Ritucci
Immagini di Costanzo D’Angelo
Foto – Il Recinto di Michea
Foto di Costanzo d’Angelo – Occhio Magico