Quel giorno, così come nei successivi, in città non si parlò d’altro: un vastese, piccolo e riccio, aveva segnato a San Siro, nel tempio dei grandi, contro il Milan di Fabio Capello, quello degli invincibili. Un ragazzino che aveva compiuto 19 anni da appena tre giorni e che aveva davanti Rossi, Tassotti, Maldini, Costacurta, Baresi, Albertini, Riijkaard, Donadoni, Simone, Gullit, Massaro, Serena, Evani, mancava Van Basten che iniziava ad avere problemi alla caviglia.
Lui fece tutto come se niente fosse, era il 26 gennaio del 1992, Fiorenzo D’Ainzara e tanti vastesi quel giorno non lo hanno dimenticato. Al terzo minuto del secondo tempo, l’Ascoli era sotto di due gol, realizzò la prima delle sue tre marcature in Serie A in 28 presenze. Il modo migliore per farsi gli auguri, con quel sinistro fuori dal comune, nessuna vergogna e tanta sfrontatezza, come riportano le cronache del periodo: “Quando ho visto la palla in rete ho pensato alla felicità dei miei genitori che seguivano la partita alla radio”. Questo è Fiorenzo D’Ainzara, ad oggi l’unico vastese ad aver segnato e giocato nella massima serie perchè Mario Lemme non ha mai debuttato in A e Vincenzo Matrone, 3 presenze e 1 gol nella Fiorentina, è nato a Vasto, ma non ci ha mai vissuto, se non per un breve periodo.
Quando è iniziata la tua carriera?
Mi sono formato sull’asfalto all’esterno della chiesa di San Michele, era lì che giocavo con gli altri bambini, poi nella stagione 1985/86, l’Ascoli fece un provino a San Salvo, avevo 13 anni e avevo fatto giusto qualche partita con la Savas e niente più, mi accompagnò Nicola D’Attlio, c’erano 120 ragazzi, dopo questo ne dovetti fare un altro ad Ascoli e alla fine mi presero, è iniziato tutto così.
Che ricordo hai di quel periodo lontano da casa?
Ad Ascoli la società mi ha fatto finire gli studi, facevo le medie, ero felice, era quello che volevo fare, giocare a pallone. Vivevo nel convitto insieme ad altri ragazzi, c’era anche Pino Di Meo, ero nei giovanissimi nazionali, stagione 86/87, quell’anno ho segnato 16 gol, l’allenatore era Gianni Clerici. Poi sono passato agli Allievi Nazionali, in seguito ho fatto 5 presenze in Primavera nella stagione 1989/90, che è stata quella dell’esordio in Serie A, il 22 aprile, avevo 17 anni, mi fece debuttare Aldo Agroppi contro il Lecce di Mazzone con Antonio Conte schierato da terzino, quell’anno ho giocato anche contro il Genoa al Marassi. Al termine del campionato siamo retrocessi, ma in Serie B ho avuto l’opportunità, con Nedo Sonetti, di far parte della prima squadra con cui ho disputato l’intero campionato, ma non ho fatto nemmeno un gol, la Serie B è l’unica categoria in cui ho giocato nella quale non ho segnato.
L’anno successivo siete tornati in Serie A.
Era il 91/92, con 26 presenze e 3 gol, l’ultimo lo feci contro la Fiorentina al Franchi, vincemmo 2-1, uno il 15 marzo 1992, contro il Foggia e il primo, il più famoso, contro il Milan. L’allenatore era De Sisti, poi arrivo Massimo Cacciatori, ricordo tutto benissimo e chi se lo scorda. Ho fatto la preparazione con la prima squadra l’estate, sono stato aggregato e giocavo anche nella Primavera, ma dopo 5 partite entrai in pianta stabile tra i grandi, anche perché quella società puntava molto sui giovani.
Raccontaci di quel giorno a San Siro.
Avevo compiuto da poco 19 anni, mi trovavo in quello stadio bellissimo così giovane, quello era il Milan storico, c’erano tutti i più forti. I miei compagni Troglio e Lorieri mi dicevano che segnare lì voleva dire avere una carriera da calciatore garantita, ero partito titolare, ma ci siamo trovati subito sotto di due gol, poi ho segnato il 2-1. La palla arrivava da centrocampo, Troglio fece finta di andare incontro, poi in area dall’angolo a sinistra ho incrociato sull’uscita di Rossi e l’ho messa sul secondo palo.
E poi?
Mi sono ritrovato in sala stampa con 30 microfoni, ero così piccolo che nemmeno mi vedevo per quanti erano, è stata un’esperienza indimenticabile, bellissima, a quell’età realizzi un sogno e vivi tutto in maniera istintiva e poco personale. Alla fine siamo retrocessi di nuovo in B, ho giocato l’ultima volta in Serie A il 24 maggio 1992, Torino-Ascoli 5-2. L’anno dopo le cose non andarono bene, con Sonetti non c’era un buon rapporto, in più il secondo anno mi ruppi tibia e perone, ho giocato poche partite. Ero stato convocato con la nazionale under 20, ma contro al Spal a Ferrara mi infortunai al 92’, non sono stato molto fortunato.
Dei tanti che hai incontrato quali giocatori ti hanno impressionato di più?
Bierhoff e Bruno Giordano su tutti, sono i due più forti con cui ho giocato. Oliver fece fatica all’inizio a inserirsi, era di proprietà dell’Inter, il presidente Pellegrini quasi lo regalò all’Ascoli dove trovò Rozzi che gli voleva molto bene, insieme a Cacciatori lavorarono tanto su di lui e alla fine è diventato un grande giocatore. L’ho incontrato tempo fa in aeroporto, mi ha riconosciuto ed è stato bello vedere che nonostante tutto sia rimasto molto umile e non sia cambiato. Ho giocato anche con Colantuono che sta dimostrando di essere un bravo allenatore. Uno che invece mi ha creato tante difficoltà è stato Antonio Benarrivo, era estenuante, non si fermava mai, instancabile, ricordo che mi colpì in modo particolare, era un qualcosa di impossibile a livello umano.
Come mai dopo sei finito in C1?
Avevo voglia di giocare, andai a Sora in prestito e in 30 presenze feci 11 gol giocando da esterno sinistro, mentre l’anno dopo ero a Gualdo sempre in C1, ma per me non fu un’annata positiva, perdemmo la semifinale play off contro il Castel di Sangro.
Per due volte hai giocato anche nella Pro Vasto.
La prima 2001/2002 in serie D con 18 presenze e 8 gol, ci salvammo, la seconda 2003/2004 sempre in D con 7 presenze e un gol nello spareggio play off contro l’Isola Liri. Poi ho avuto ancora problemi a tibia e perone, una frattura scomposta nel 2007/08 per concludere la carriera, ero ad Aprilia in Eccellenza.
Qual è stata la partita più bella?
Stagione 96/97 ad Avellino, alle 7 di mattina mi chiamò il presidente Sibilia per dirmi che se avessi fatto gol contro l’Avezzano mi avrebbe regalato un vestito. Io segnai e il vestito arrivò, ma la parte più bella è il ricordo che resta dentro. Ho avuto lui come presidente e Rozzi, sono la storia del calcio, auguro a tutti di avere dei presidenti così, dei grandi di quei tempi mi manca solo Anconetani.
La città più bella dove hai vissuto?
Siena, lì ho fatto bene, in due anni 13 gol, e sono felice che non mi abbiamo dimenticato, infatti l’anno scorso sono andato alla festa del centenario, mi hanno invitato.
Uno degli allenatori con cui hai lavorato di più è Stefano Di Chiara, con lui hai un rapporto particolare.
Abbiamo giocato insieme, poi è stato in più occasioni il mio allenatore, gli devo moltissimo, sia dal punto di vista professionale che umano, è un amico. Arrivò a Siena quando fu esonerato Buffoni, io ero fuori rosa, lui mi reintegrò subito, disse che di un giocatore del genere non poteva fare a meno, questo mi diede una grande carica. Siamo stati insieme anche a Novara, Taranto, Legnano e Pistoiese. Mi sono trovato molto bene anche con Giuseppe Sannino con cui ho vinto un campionato di C2 a Lecco nel mio ultimo anno tra i professionisti. Se invece devo dire uno con cui non mi sono trovato bene dico Orazi.
Non pensi che per le tue qualità potevi giocare più tempo in Serie A?
Non ho avuto fortuna, l’infortunio al 92’ con la convocazione in tasca per la under 20 ne è la dimostrazione, mi ruppi tibia e perone a fine partita. A Gualdo persi i play off per la Serie B contro il Castel di Sangro, quella fu un’altra occasione persa per tornare in un calcio più importante.
Tra i ricordi a casa hai un’ampia collezione di maglie.
Non le prendevo da tempo, è stato mio padre ad occuparsene, le maglie di prima erano molto più grandi, io ci stavo larghissimo, c’era una taglia unica per tutti, ne ricordo alcune che quando pioveva diventavano pesantissime. Quella a cui tengo di più è quella di Costacurta, quelle della Pro Vasto le ho regalate tutte, sono andate a ruba. Tra le tante ci sono quella di Angelo Alessio della Juventus, Luigi Garzya della Roma, quella delle nazionale under 20 che per via dell’infortunio non ho potuto indossare, quella della nazionale militare, quella del Middlesbrough scambiata al trofeo anglo italiano e quella del centenario del Siena. (Per vederle clicca qui)
Quanto ti è pesato trascorrere gran parte della tua adolescenza lontano dagli affetti dei genitori e della famiglia?
E’ stata una scelta importante, la mia famiglia aveva rifiutato in precedenza un’offerta che era stata fatta a mio fratello Antonio, la fortuna ha voluto che la stessa possibilità capitasse anche a me qualche anno dopo e nel mio caso hanno accettato. Anche mio padre da giovane era stato un calciatore, io sono stato felicissimo di questa opportunità perché era quello che volevo fare più di ogni altra cosa, il calcio è ancora oggi ciò che mi diverte di più.
Hai qualche rimpianto?
No, il calcio è così, ognuno nasce con delle qualità, io ero genio e sregolatezza, ma tutto quello che ho fatto e faccio lo faccio con il cuore, ho sempre dato tutto, senza pensare ad altro o agli interessi economici. Anche se oggi ovviamente sono più tranquillo, non posso certo pretendere di fare quello che facevo prima.
Adesso cosa fai?
Gioco ancora in prima categoria a Casalbordino, c’è anche Giorgio Ventrella con me, oltre a fare il papà di Giulia che ha 6 anni, è lei la mia partita più importante e la gioco con Maria Teresa, la mamma.
Lavorerai nel mondo del calcio?
Questi per me sono anni di transizione, ma qui a Vasto nell’ambito calcistico c’è poco da fare, mi dispiace dirlo, ma una città come questa non può non avere una squadra almeno in C2, Vasto la merita, da tanti anni sento solo chiacchiere, sempre le stesse e nessuno fa niente.
Sfrutterai il patentino da allenatore?
L’ho preso nel 1998, allenare nelle categorie dilettantistiche è molto difficile, anche a livello organizzativo, fare l’allenatore vuole dire sbagliare con la propria testa, ma è difficile tutti vogliono dire la loro.
Hai visto qualche tuo erede in giro?
Michele D’Ainzara, mio nipote, il figlio di mio fratello Antonio, ha iniziato da poco, anche lui gioca nell’Ascoli.
Da più parti è stato detto che Giuseppe Luciano abbia qualcosa che ricorda te.
L’ho visto giocare, il capello è riccio, come ero io, piccolino e rapido, è mancino, il piede è quello giusto, diciamo che l’atteggiamento c’è.
Vuoi ringraziare qualcuno?
I miei genitori, sono la parte più importante della mia vita, loro mi sono sempre stati vicino.
Foto – Fiorenzo D’Ainzara e i suoi ricordi
Maglie, foto e trofei da Serie A. Fiorenzo D’Ainzara mostra i suoi ricordi.