Tornanno ad esibirsi dal vivo gli Eclipse, cover band vastese dei Pink Floyd. Una formazione musicale attiva ormai da più di 15 anni e che ha sempre saputo farsi apprezzare per la sua bravura. Sabato sera, alle 22, al Bau Bar in via Adriatica (tempo permettendo) ci sarà l’occasione per poterli ascoltare ed immergersi nelle atmosfere dei Pink Floyd (per l’occasione con Simoncino Del Borrello alla batteria). Il “cuore” pulsante degli Eclipse sono i fratelli Luigi e Alessandro Mariotti. Sarebbe stato “troppo facile” farsi raccontare da loro la storia di questa cover band. Ecco che invece a sorpresa si presentano Francesco Marchesani, cantante e l’ultimo entrato nel gruppo, il tastierista Giovanni Tabilio.
Come è nato il progetto di una cover band dei Pink Floyd?
Francesco. Il gruppo è stato fondato dai fratelli Luigi e Alessandro Mariotti, se non ricordo male nel 1996. All’epoca c’erano Christian Ciardelli alla batteria e Antonello Bellano alle tastiere. Io sono subentrato un anno dopo la fondazione del gruppo. In quei primi anni ricordo con piacere un concerto alla rotonda di Vasto Marina. Con il passare del tempo il progetto è stato sempre portato avanti. Da un po’ ci sono due nuovi elementi, che hanno rafforzato il gruppo: Giovanni Tabilio alle tastiere, che sta lavorando molto per ricreare quel sound particolare dei Pink Floyd. Poi alla batteria c’è Tittaferrante, il più giovane tra noi. E’ un batterista molto tecnico. Come gruppo adesso siamo più compatti, siamo più maturi.
Un conto è essere appassionati di un gruppo musicale. Molto diverso è mettersi alla prova, soprattutto con dei mostri sacri come i Pink Floyd.
F. Ci aiuta molto il fatto che Luigi, alla chitarra e Alessandro, al basso, sono dei perfezionisti, quindi cercano di avvicinarsi il più possibile al sound originale, come del resto fa ogni cover band. Il mio approccio personale è stato diverso dagli altri. Non ero un super-appassionato del gruppo. Però mi hanno chiesto di entrare come vocalist e allora mi sono messo a studiare come lo studente che si mette con il libro davanti. Piano piano ho iniziato ad imparare le canzoni e mi sono piaciute sempre più.
G. I Pink Floyd li ascolto da sempre, mi piace tutta la musica e credo che ne esistano diversi livelli di fruizione. Il primo è l’ascolto puro e semplice. Ad un livello successivo, per godere maggiormente della musica, c’è il suonarla, e poi, ancora oltre, c’è quello di suonarla davanti ad un pubblico. E’ un modo diverso per vivere la musica, per apprezzarne i dettagli. Suonare la musica del tuo gruppo modello vuol dire ascoltarlo ancora meglio, infinite volte. Già l’avevo fatto come ascoltatore, ma adesso l’obiettivo diverso. Però devo dire che ho sensibilizzato l’orecchio, riesco a cogliere particolari che prima mi sfuggivano.
Il repertorio della band “originale” è molto vasto e complesso. Voi cosa proponete?
F. La scaletta che proponiamo raggiunge le due ore e mezza di musica. Lo scheletro è composto essenzialmente da canzoni di “The dark side of the moon” e “The Wall”, poi infiliamo alcuni pezzi da “Wish you were here”, da “Momentary lapse of reason” e qualcosa di più nuovo. Cerchiamo di comporre una scaletta senza andare troppo su quei brani psichedelici che magari possono annoiare. Abbiamo ripreso le canzoni più classiche suonandole con uno stile più pop.
G. Ci sono alcuni cavalli di battaglia da inserire e poi a me personalmente, ma credo anche agli altri, piacerebbe suonare qualche brano più da cultore, quelli di “Animals”, di cui attualmente non facciamo nulla.
Si tratta di musica certamente particolare, diversa da una fruizione di massa. Che riscontri di pubblico avete?
G. E’ inevitabile che piacerebbe che molti condividessero la tua passione. Però di appassionati dei Pink Floyd ce ne sono davvero tanti, anche perché ritengo che questa musica ormai sia “classica”, nel senso che tra 40 anni ci saranno ancora cover band dei Pink Floyd mentre difficilmente ci saranno cover di gruppi che al momento richiamano più persone ,ma poi avranno vita breve. Poi, fondamentalmente, è bello suonare quello che ti piace. Ho avuto la fortuna di partecipare al concerto di Roger Waters lo scorso anno a Milano. Il palazzetto era pieno e ha fatto tre serate fantastiche. C’erano persone di ogni età. Questa è la forza della musica dei Pink Floyd
F. Sicuramente i ragazzi più giovani non conoscono i Pink Floyd perché nelle radio, tranne qualche eccezione, non passano i loro pezzi. Ma il catalogo di questi gruppi storici vendeva negli anni 70 e continuerà a vendere nel tempo. Questo qualcosa significa.
Come sono le vostre prove?
G. Mi piace associare la pratica delle tribute band ai pittori che fanno i falsi d’autore. E’ un lavoro diverso dalla creazione ex novo. I Pink Floyd sono stati bravi nel trovare certi suoni, certe soluzioni, però il lavoro dell’imitatore è molto interessante, perché devi fare una sorte di reverse engineering, capire come sono state ottenute certe cose e con i tuoi mezzi devi cercare di avvicinarti. Questo mi offre anche l’occasione di approfondire aspetti musicali molto tecnici, come la sintesi dei suoni, l’utilizzo di apparecchi informatici per sopperire alla mancanza di alcuni strumenti. Il nostro obiettivo è cercare di arrivare a quelle sonorità.
Tra di voi che rapporto avete?
G. Suoniamo per passione e parte del divertimento quando c’è una serata è la fase di preparazione, lo stare insieme, montare e smontare gli strumenti, restare a fine serata per commentare, per capire cosa abbiamo sbagliato. Sotto il punto di vista del rapporto umano l’esperienza della band è molto interessante, poter frequentare i miei compagni di avventura con cui mi trovo molto bene. Anche Davide, che è il più giovane, si integra molto bene ed è un elemento frizzante per il gruppo.
Forse quello che vi manca è il farvi conoscere un po’ di più.
F. A noi va bene così, ci piacerebbe suonare un po’ di più, anche se il genere sicuramente non è apprezzato da tutti i locali, quindi si fa un po’ più fatica a trovare occasioni per suonare.
C’è stato qualcuno che dopo aver ascoltato un vostro concerto si è avvicinato alla musica dei Pink Floyd?
F. E’ capitato che qualcuno viene e ci dice “vi ho sentito da lontano e sembrava davvero di sentire suonare i Pink Floyd”. Questo è il complimento più bello. Perché l’obiettivo delle cover band è quello di ricreare quel suono. Certo, ci piacerebbe suonare un po’ di più, però per noi alla fine resta sempre una grande passione, quindi va bene così.