Quando fa il suo ingresso nel cortile di palazzo d’Avalos si interrompe il dibattito in corso perché tutti rivolgono l’attenzione ad Antonio Ingroia, magistrato antimafia, che da 20 anni lavora nella procura di Palermo a difesa della legalità. Quando sale sul palco, al solo pronunciare il suo nome i presenti si lasciano andare a scrosci di applausi. Del resto lui è uno dei simboli viventi della lotta alla mafia. L’uomo che ha raccolto una parte dell’eredità di Falcone e Borsellino. Il procuratore aggiunto titolare dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, che ad ottobre approderà in aula.
Esordisce con una ricostruzione delle inchieste ancora in corso, che tanto interesse suscitano nell’opinione pubblica. “L’attenzione dell’opinione pubblica -dice Ingroia- è preziosa e necessaria, poiché le sentenze vengono emesse in nome del popolo italiano. E il popolo ha il diritto di controllare se i giudici stanno facendo bene il loro lavoro”. Andando a parlare di indagini e intercettazioni, è impossibile non parlare del caso Napolitano-Mancino, con le richieste del Quirinale sul conflitto di attribuzione alla procura di Palermo. Un fatto che ha suscitato molto clamore nelle scorse settimane. Ingroia si lascia andare ad uno dei pochi commenti di merito che esprimerà nel corso dell’incontro, perché cerca sempre di mantenersi fuori dai giudizi. “Non me l’aspettavo che il Quirinale chiedesse il conflitto di attribuzione”, dice con amarezza.
Da twitter arrivano le domande. Una dice “Perché vai all’estero?” Infatti Ingroia è in partenza per il Centroamerica, dove è stato incaricato dalle Nazioni Unite di occuparsi di narcotraffico e legami con la criminalità organizzata. “Ho ritenuto che dopo 20 anni fosse giusto chiudere una pagina importante della mia carriera. In fondo è un impegno in continuità con quello che ho fatto in Italia. Sul piano personale -spiega Ingroia- avendo iniziato il mio percorso nei giorni in cui vennero uccisi i miei maestri, Falcone e Borsellino, chiudere consegnando le indagini sulla trattativa è la cosa più giusta”. Non sarà in aula, ma ci saranno i 4 sostituti procuratori del pool da lui coordinato. “Le tante indagini e processi di questi anni -dice lui- sono tasselli dentro lo stesso puzzle per ricostruire il contesto per cui Falcone e Borsellino erano come corpi estranei di uno Stato che preferiva convivere con la mafia”. Si appella alla classe politica Ingroia, e si appella anche ai cittadini.
“Non si conquista la verità solo con la buona magistratura-dice lui-, ma con un impegno e uno sforzo corale di un Paese che dimostra di volere la verità. E non una mezza verità, come è stato in Italia per troppi anni, con verità dimezzate sullo stragismo, fatte di reticenze e depistaggi.
Falcone e Borsellino erano l’individuazione di un movimento antimafia di massa. Ecco perché sono stati uccisi. La ricerca della verità è quella cosa per cui il Paese reale costringe il Paese istituzionale a fare il suo dovere”.
La commissione parlamentare antimafia solo oggi, dopo 20 anni, si sta interessando alla trattativa. “Non posso essere indifferente all’inerzia delle commissioni che si sono succedute, così come non sono indifferente all’impegno profuso da quella attuale”.
Ingroia è un magistrato da sempre chiacchierato (del resto lo furono anche Falcone e Borsellino) e accusato di ricercare la visibilità personale. “Se così fosse stato-ribatte lui- non avrei portato avanti indagini e processi che mi hanno fatto ricevere più critiche che facili complimenti”. Va via tra gli applausi Ingroia, con la consapevolezza che l’Italia perderà uno dei suoi baluardi della lotta alla mafia. E con l’attesa per conoscere le verità che lui e il suo pool avranno fatto oggetto di indagini.
Foto – Antonio Ingroia a Vasto
Il magistrato Antonio Ingroia, titolare dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, a Vasto